Dal Bresciaoggi
Di Roberto Bianchi
fotografia di www.ilariapoli.com 22 gennaio 2017
Salò, Gargnano
La prima volta che la vidi era una brutta domenica di metà marzo. Piovosa e fredda. E umida. Ero un ragazzino nel 1972, e ci andai in una sorta di pellegrinaggio con mia sorella ed alcuni suoi compagni militanti di Potere operaio. La casa davanti a noi apparve tetra. Con quella luce gelida e così avara, e con tutte quelle finestre sbarrate, sembrava abbandonata e forse lo era davvero nei lunghi mesi di un inverno che non voleva finire.
I miei accompagnatori indossarono un’aria ancora più luttuosa quando, dopo essere scesi dall’auto, appoggiarono i piedi per terra. la maggior parte di loro, a breve, non li avrebbe mai più staccati i piedi da terra, una volta scesi per sempre dai loro sogni. Ma in quegli anni erano ancora impegnati a rincorrere l’incredibile utopia, anche per quei tempi, di una rivoluzione nell’Italia dei consumi. Ci trovavamo nel parco della dimora estiva di un singolare miliardario che aveva scelto d’entrare in clandestinità per servire la “rivoluzione”. Si chiamava Gian Giacomo Feltrinelli, coi soldi di famiglia aveva fondato una casa editrice che si era rapidamente affermata ed era stato trovato morto solo un paio di giorni prima a Segrate, ai piedi di un traliccio che, dicevano i giornali, si accingeva a far saltare in aria. Noi eravamo arrivati a Gargnano per rendergli un simbolico estremo saluto. Una specie di omaggio. O forse eravamo accorsi su uno dei “suoi ” luoghi, quello a noi geograficamente più vicino, per quella forma vagamente morbosa di curiosità che circonda, come un’aura, la vita dei vip di qualsiasi genere essi siano. O ancora, magari, per una variante del fascino che la “bella Morte” spesso può esercitare sulle menti più eccitabili, e non c’è come essere impegnati a sovvertire il mondo per trovarsi esposti anche a quel rischio.
Naturalmente mia sorella e i suoi compagni non credevano affatto alla versione ufficiale che veniva data della disgrazia e che le voleva conferire la parvenza di “incidente sul lavoro”. Mentre vagavamo per il giardino in preda all’emozione, io, soprattutto, ad emozioni contrastanti – alimentate dall’osservazione di quel palazzo da ricchissimi aristocratici che era vistosamente incongruo con la volontà di uno fra loro di abolire, manu militari, privilegi e ingiustizie- li sentivo definire quell’evento così oscuro e terribile come un “assassinio di stato”. Eravamo fra i tanti che erano stati indelebilmente segnati dalla bomba esplosa pochi anni prima dentro una banca a Milano, che aveva causato numerose vittime, e che gli ambienti conservatori e reazionari avevano voluto attribuire a bande anarchiche, mentre ormai si faceva strada la certezza che fosse stata una strage “di stato”. Una perizia medico-legale, ignorata all’epoca, avrebbe riaperto quarant’anni dopo pesanti dubbi anche sulla morte di Gian Giacomo Feltrinelli, dilaniato sotto un traliccio. Ma ormai quel processo era chiuso. E il dubbio che la verità giudiziaria sia in contrasto con quella che non sopporta gli aggettivi rimarrà per sempre irrisolto.
Tornando a quel “pellegrinaggio”, la casa imponente impiantata sulle rive del Garda aveva un suo fascino sinistro che mi suggeriva riflessioni eccentriche. Infatti, da quando venne costruita, sul finire del 1800, perché i Feltrinelli vi stabilissero la loro residenza estiva ritornati a Gargnano dopo esserne emigrati per creare una fra le più grandi fortune economiche dell’epoca, si può ben dire che quel palazzone ne avesse viste, se non di tutti i colori, almeno dei due colori “estremi” della storia e della politica italiane.
Pensavo all’inquilino precedente a Feltrinelli, che l’aveva requisita e abitata per breve periodo. Per via dei contorcimenti che sorprendono a cui il destino obbliga gli uomini e le cose si trattava di Benito Mussolini che, ritornato verso la fine di settembre del 1943 dalla Germania dove aveva trovato riparo in seguito alla fuga dal Gran Sasso, ne prese possesso ai primi di ottobre per farne la propria residenza nei tempi bui e drammatici della Repubblica di Salò. Nel parco , ufficialmente addette alla sua sicurezza, avrebbero stazionato una trentina di guardie scelte delle SS. Ma Mussolini in quella villa fu più un prigioniero che un ospite. Più un ostaggio che un capo. Era da quel parco, sul quale ora stavamo camminando anche noi, che ogni mattina il Duce, dopo essere uscito dal portone, ora ermeticamente sbarrato, saliva sull’auto , sempre scortato dai tedeschi, per raggiungere un altro palazzo, anch’esso di proprietà dei Feltrinelli diventato quartier generale del suo governo che proprio al servizio dei tedeschi operava. Rimase a Villa Feltrinelli fino al 18 aprile 1945 quando si spostò a Milano per provare ad ottenere, con la mediazione del Cardinal Schuster, una resa il meno drammatica possibile. Forse fu proprio in una mattina compromessa dalla luce grigia che mortificava il lago ed animava la tristezza degli addii, la stessa luce traditrice che ora illuminava i nostri percorsi ed i nostri pensieri, che Benito Mussolini dopo essere sceso dall’ampia scalinata neoclassica, rivolse di sfuggita un ultimo sguardo al lago di Garda, a quell’acqua di piombo e alle sue sponde spente.
Non poteva certo immaginare che una decina di giorni dopo aver lasciato, in cerca di salvezza, quello che lui in una lettera aveva definito uno ” scuro e fosco posto” sarebbe stato solo un cadavere esposto al vergognoso ludibrio della folla, appeso per i piedi ad una tettoia di Piazzale Loreto.
Prima di andarcene gettammo un ultimo sguardo all’edificio. In due o tre alzarono un pugno chiuso che mi sembrò ridicolo in sé e tragicamente stupido per loro. Per quanto mi riguarda so che pensai ai giochi strani della vita, ai destini a noi sconosciuti, alle orbite ed alle parabole delle esistenze, e alle coincidenze. A come avvenga, a volte, che ci si possa trovare imprigionati in case infelici come in vite compromesse. A come le cose, talvolta, impongano la loro presenza silenziosa nelle scelte degli uomini e come, sempre in quei casi, sembra vogliano rivendicarvi un ruolo misterioso.
Di quella Villa ora ne hanno fatto un grand hotel lussuoso ed esclusivo. E su un portale fra i più noti ne viene scritto così da un ospite provvisorio ed entusiasta: ” Cosa si può dire di più, incantevole, senza paragoni. Servizio impeccabile. Ristorazione insuperabile. E non scordate il passato storico di questa Villa. Oltre a tutto questo se possedete una barca l’attracco è comodissimo e il servizio dell’eventuale rimessaggio notturno è affidato ai ” Cantieri Feltrinelli” ( cantiere TOP del Garda )”.
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