Dal Bresciaoggi
Di Roberto Bianchi
fotografia di www.ilariapoli.com
25aprile 2018
Brescia
“Vinta la battaglia della ragione
Doveva spuntare un mondo nuovo
Ma prima di capire che era fi nita
Tornasti a lottare invano
Lavoro senza tregua, tensioni e grida
Da Scelba a Tambroni fulmini e tuoni
Desiderio di avere una vita migliore
Pagata col sangue e mai toccata con mano
Oggi sono in tanti, reduci di niente
Di un’Italia battuta e già arresa
Dalla fuga di Kappler Catanzaro sorpresa
Si stende una lunga mano nera
Col fi ato sospeso nel fuoco e nel fumo
Bologna si staglia sfi nita
E tu vecchio già stanco nascondi il tuo viso
Nella fredda sera…”
(Nicolò – Pierangelo Bertoli)
Mi metto al volante per cercare una forneria aperta. Spero ce ne siano altrimenti me ne dovrò andare a Iseo,località turistica dove il pane fresco lo fanno anche nei giorni di festa. Lungo la strada incrocio un pulmino arancio di Brescia Trasporti. Appiccicato al fanale, la bandierina tricolore, come si usa da molti anni. Come mi ricordo vedevo già agli inizi degli anni Settanta. È il XXV aprile, oggi, la festa della Liberazione dal fascismo e dall’occupazione nazista. Ma non è più il Settanta, siamo nel 2018” bellezza”, e molte cose sono cambiate. Certamente l’ansia di libertà, il gusto della democrazia, il piacere della partecipazione alla vita civile, la consapevolezza della necessità dell’impegno non possono morire del tutto, non possono morire per tutti. Ma siamo nel 2018 “bellezza”, e tutte quelle categorie che mi hanno orientato fin dall’ adolescenza mi sembra siano state pesantemente acciaccate da uno scontro con la “cultura” del consumo e della “globalizzazione”e ne siano uscite piuttosto malconce. È il 2018,” bellezza”, e il Centro Commerciale è aperto: nel parcheggio trovo un posto con difficoltà, c’è ressa, ma almeno avrò risolto il problema del pane. Sulla scala mobile incontro un ragazzino, farà la seconda, terza media. E’ sulla parte che scende, anche lui l’hanno spedito a prendere il pane, mentre io sono sull’altra.
Ci guardiamo, mentre lentamente ci avviciniamo. Arrivati ad incrociarci, come facevano i vecchi nei Settanta, glielo chiedo a bruciapelo: “Ma lo sai che festa è, oggi?” Non è straniero, non è un italiano figlio di immigrati: bresciano doc. Lo capisco oltre che dall’abbigliamento e dai tratti somatici, dalla risposta in puro dialetto bresciano che mi scaraventa senza nessuna ironia nella voce e con un disinteresse massiccio: “Boh, el so mia… ! Ma l’è festa!”. Mi chiedo dove siano finiti quegli anni, quel sapere testimoniale che ci veniva restituito non solo dal racconto degli attori di quella tragedia infinita che furono il regime fascista e la guerra, ma anche da insegnanti che ci stavano molto attenti a ricordarci l’importanza di certe date, di certe celebrazioni. Che ci “avvicinavano” anche fisicamente alla Resistenza che così non vedevamo come un fatto così “lontano” nel tempo e nello spazio , ma , al contrario, percepivamo come un qualcosa costituente il terreno da dove noi stessi eravamo provenuti. Non era retorico il XXV aprile di tanti anni fa. Le associazioni dei partigiani erano ancora composte da gente che il partigiano l’aveva fatto per davvero, rischiando e soffrendo in proprio; a volte esponendo a rischio anche la famiglia e i congiunti. Ma oggi è il 2018 “bellezza” e i tempi sono cambiati e quegli attori se ne sono andati quasi tutti e quelli nuovi non sempre sembrano all’altezza.
Quand’ero ragazzo ci insegnavano persino i “luoghi” della nostra terra e così ancora oggi quando ci ripasso mi ritornano in mente i fatti. Alla destra di palazzo Loggia, per esempio, nel Palazzo del Monte nuovo di Pietà aveva sede la XV legione fascista “Leonessa” dove i sospetti antifascisti, imprigionati negli scantinati dove regnava perennemente il buio, erano sottoposti a torture di ogni genere. Tornano anche i nomi, che sono rimasti nella memoria, nonostante siano così numerosi e la mia memoria sempre meno capiente. Piazza Rovetta, per esempio, dove nella notte del 13 novembre del’43 una squadra di fascisti si diresse per compiere una rappresaglia. Il comandante aveva una lista di nomi in mano. Il primo, Arnaldo Dall’Angelo. Che abitava nella casa d’angolo fra corso Mameli e Rua Sovera. Poi, Gaetano Perinelli, ammazzato per sbaglio al posto di Giuseppe Andrini. E dopo, Rolando Pezzagno, ammazzato sul marciapiede di via San Faustino dove inizia lo slargo di Piazza Rovetta. I corpi rimasero sul selciato fi no al mezzogiorno successivo quando un camion li portò alla fossa comune del cimitero… Alla caserma “Randaccio”, dalle parti di Via Tartaglia – dove alla fi ne degli anni 70 noi ragazzi di una volta andavamo a fare “i tre giorni” della visita di leva – il 24 febbraio alle 8,20 vennero giustiziati Mario Bettinzoli e Giacomo Perlasca, partigiani delle Fiamme Verdi. Anche in una caserma lì vicina, la “Ottaviani”, vennero trucidate più persone. Il 6 gennaio del ’44, Umberto Bonsi, Nadir Gambetti, Ferruccio Franchi. Il 27 gennaio, Francesco Cinelli.
Il 16 settembre, Pietro Albertini, Emilio Bellardini, Santo La Corte, Paolo Maglia, Luigi Ragazzo e Tita Secchi. In Castello, all’alba del 24 marzo del’45, fu fucilato Giacomo Cappellini. Il 26 aprile del ’45, durante l’assalto alla guarnigione nazifascista asserragliata nella caserma Arsenale di via Crispi, venne colpito e ucciso da raffi che di armi automatiche sparate da militi delle Brigate Nere. Aveva trentasei anni ed era operaio e socialista. Il 25 aprile del’45 i tedeschi massacrarono di botte fino alla morte, davanti agli occhi del figlio di dieci anni, Lucrezia Girelli, una cuoca che sottraeva dai viveri requisiti dalla X Mas un po’ di cibo da far pervenire ai partigiani in Maddalena. All’angolo tra Viale Venezia e Via Castellini, dove c’è l’Istituto Pavoni, venne trucidato Bruno Venturini, partigiano della 122ma Brigata Garibaldi; da quelle parti, nella zona del Rebuffone, lungo una strada che oggi porta il suo nome venne, venne colpito gravemente il partigiano Giuseppe Usanza, diciassette anni appena, che morì pochi giorni dopo per le ferite, dopo aver ripreso conoscenza, ma senza mai parlare. Ai Ronchi, su un sentiero in zona del Goletto, il 27 marzo del ’45 venne ammazzato Piero Lanfranchi. In viale Sant’eufemia il 18 marzo del 44 venne ammazzato Marino Micheli.
Alla “Piazza d’Armi” del Villaggio Violino, il 31 dicembre del ’43 vennero uccisi Ferruccio Lorenzini, Giuseppe Bonazzoli, Renè Renault, Costantinos Jorgin. Alla Stocchetta, dove c’è la Levata, l’11 marzo del ’45, Armando Lottieri , ufficiale di collegamento delle Brigate Garibaldi. Il 26 aprile del ’45, dalle parti di Via Corsica, vi fu uno scontro a fuoco fra un reparto di SS che proveniva da Castelmella ed un gruppo di partigiani: morirono Dante Abbiati, Dante Brondini,Francesco Lodrini e Francesco Lumini. E altri ancora ce ne furono, ma forse, così come ora non c’è più posto su questa pagina, non è più tempo nella memoria collettiva dell’oggi. E mi dispiace. Anche se nel 2018, “bellezza”, “Bella Ciao” la cantano i gruppi rock a tempo di reggae davanti a giovani col pirlo in mano, mi piace ricordare i miei di tempi, quando la si cantava “alla vecchia”, così come ce l’avevano insegnata i compagni di tutti quegli eroi morti anche per la nostra libertà.
Leave a reply