Dal Bresciaoggi
Di Roberto Bianchi
fotografia di www.ilariapoli.com
22 ottobre 2017
Rudiano, Comezzano, Cizzago
L’uomo era un cristone grande e grosso, per di più munito di un gran paio di baffoni all’umbertina. Naturalmente girava avvolto in un tabarro che era compromesso, ahimè, da troppi buchi. Il tocco finale era fornito da un cappellaccio nero a tesa larga che se pure la riparava quella gran testa pensante, rendeva il proprietario più simile ad un brigante ottocentesco che ad un astronomo – filosofo – poeta – gran disegnatore di cosmografi e fantasiose e perciò, a modo suo, artista: più un Passatore o uno Spiridione, insomma, che un erudito. Ad un primo e superficiale sguardo, dunque, quel bonaccione di Giovanni Paneroni da Rudiano, destava inquietudine e, pur divertendo con le sue eccentricità un gran numero di persone – si dice fosse particolarmente amabile con i bambini – riusciva ad allertarne altrettante, cominciando dai benpensanti per arrivare ai custodi dell’ordine pubblico.
Era nato nel 1871 e il padre, modesto commerciante di frutta e verdura, fin da bambino, visto quant’era sveglio, aveva cercato di avviarlo ad un futuro diverso – ma forse troppo ambizioso – sbattendolo in seminario per fargli acquisire il sapere necessario a farsi strada nel Mondo. Ma l’ordine e le regole, lo si vide subito, non facevano proprio al caso del buon Giovanni che, dopo solo due anni, venne ritirato e abbandonò gli studi. Fece svariate esperienze, anche lavorative e, quando venne il momento, espletò il servizio dileva nell’Arma dei carabinieri. Alla fi ne, però, fu dietro un carretto da venditore ambulante poco dopo essere tornato alla vita civile che venne a ritrovarsi commerciante di dolciumi e gelati nelle campagne bresciane. Possiamo immaginare che fu proprio mentre cercava di ripararsi da quel Sole inesorabile che gli comprometteva i prodotti che abbia avuto quell’illuminazione che per sempre avrebbe guidato la sua ricerca: mentre cercava disperatamente di sfuggirne gli effetti, infatti, si convinse fosse il Sole a muoversi, e non certo la Terra.
Precedenti illustri, del resto, rendevano credibile l’eventualità che teorie rivoluzionarie fossero nate dal fortuito incontro fra il caso e il Genio: in fondo si racconta tutt’ora sia stata una mela cadutagli in testa mentre poltriva sotto una pianta ad ispirare Newton, mentre sarebbe stato il permanere più del dovuto in una tinozza d’acqua a illuminare Archimede. E’ chiaro che per cogliere il significato di un evento bisogna in un qualche modo averne almeno un’infarinatura, oltre che un interesse, e, Paneroni, la passione per l’astronomia se la portava dietro come un’ossessione fin dai tempi della (poca) scuola. Già da allora, peraltro, le teorie elaborate da Galileo Galilei non è che l’avessero convinto del tutto, animato com’era da quella diffidenza contadina e popolare verso tutto ciò che non potesse essere confermato dall’osservazione diretta e in proprio e dall’esperienza personale.
Prendi la storia della rotondità della Terra: come facevano a starci dentro i mari? Dice: facendo roteare un secchio pieno a forte velocità il contenuto non esce. Certo, “o cretini!”,confutava, ma solo se tenuto per il manico! Provate a tenerlo per il fondo, o bestie, e “borlerà fuori tutto”. Del resto, “la Terra è fissa, piana, infinita ed è sempre esistita”. Nei giorni d’estate precedenti lo scoppio della Prima Guerra mondiale capì con chiarezza d’aver sempre avuto ragione di dubitare di quel sapere imposto e, di conseguenza, decise quale, di lì in poi, avrebbe dovuto essere la sua missione: svelare al popolo la grande truffa a proposito del sistema solare e basata sulle voci che quei cialtroni di Keplero e Galileo avevano messo in giro circa trecento anni prima. Del resto sarebbe bastato affidarsi all’osservazione e al buonsenso, per essere folgorati dall’evidenza di alcune verità che, per oscure ragioni, gli Accademici (oggi si direbbe la Casta degli accademici) osteggiavano: la Luna, “spia testimoniale di ladri e amanti”, è una sfera di un metro di diametro; le stelle sono “teste di micce esplosive” del diametro di pochi millimetri e “difendono” il Sole che viene attaccato dalle nuvole che potrebbero, quindi” spegnerlo.
Dapprima la propaganda delle sue teorie fu fatto estemporaneo e correlato strettamente alla sua attività di ambulante nei mercati delle zone limitrofe: da Chiari a Rovato, a Orzinuovi, a Soncino, insieme al suo carretto arrivava l’esposizione dei pannelli esplicativi della sua cosmogonia e così sorbirsi il gelato poteva irrobustire la cultura dei paesani che osservavano divertiti quel massiccio messia. Il suo motto più famoso e riassuntivo era: “La Terra non gira, o bestie!” Pensando al clima sociale di quegli anni, esasperato dalle lotte politiche, ma, soprattutto negli ambienti più giovani e intellettualmente effervescenti, anche dalla ricerca di elementi che trasgredissero la tradizione e “l’autorità” – non è inutile ricordare che è in quel periodo che sorgono e si sviluppano i primi movimenti artistici iconoclasti del Dada in Svizzera e del Futurismo in Italia – non sorprende apprendere che nel dopoguerra, intorno agli anni Venti, l’ormai cinquantenne Giovanni Paneroni, iniziando da un incontro pubblico al Teatro Sociale di Brescia organizzato dalla redazione de “Il Cittadino”, abbia compiuto il grande balzo verso la notorietà grazie all’interesse riservatogli proprio dagli studenti della Goliardia che in lui scorgevano il contrario dell’ “autorità” accademica(e non solo) e, a seguire, dai giornalisti incuriositi dal personaggio: uno così, che metteva in discussione l’ordine celeste era naturalmente un simbolo per tutti coloro che volessero mettere in discussione l’intero “vecchio” ordine.
Diventò così personaggio noto alle cronache dei giornali dell’epoca recandosi in trasferta in varie città italiane in concomitanza con convegni o incontri pubblici di astronomi, accademici, fisici e matematici. Milano, Genova, Bergamo, Roma: numerose furono le occasioni in cui ebbe modo di scontrarsi pubblicamente con scienziati e studiosi. Girava armato di materiale stampato che vendeva per le strade, distribuiva nel corso di quei convegni o abbandonava in aule universitarie. Conobbe in più occasioni le patrie galere, quasi sempre per aver “turbato l’ordine pubblico”. E conobbe anche il manicomio. Soprattutto ebbe, come fedele e scomoda compagna per tutta la vita, la carenza di denaro: autore di numerose poesie, in questa fissa la propria condizione: “Guarda la fame cosa mi fa fà se gò la pansa me la fa ‘nda vià (…) se so nel letto io non posso dormì le mie budele le fa chicchirich (…) Go il stomech vuoto niente de mitìga dent ga saltares ados a chei che gà bontemp ( …): l’educazione e il mantenimento degli otto figli, perciò, furono in gran parte a carico della moglie , verduraia in paese .
Per la sua eccentricità Paneroni riuscì ad avere guai anche sotto il fascismo, verso il quale non nutriva simpatia e perciò ne salutò, anche se ormai vecchio, la caduta e confidò nell’arrivo di tempi nuovi che, ne era certo, gli avrebbero riservato l’ascolto, gli onori e le prebende fino ad allora negate. Ma si sbagliava anche qui. E morì povero e tenace com’era sempre stato, il 2 gennaio del 1950. La sera prima, tuttavia, sussurrò ad uno dei figli:”La me opera la sarà semper regordada e ‘n bel de la trionferà”. Per la prima parte della profezia ha avuto ragione lui: ne parliamo tutt’ora e sulla sua lapide, quasi a ricompensa della sua totale dedizione alla scienza e a compensazione di quarant’anni di incomprensioni, la scritta dice: Giovanni Paneroni Astronomo. Per la seconda, invece, stiamo a vedere.
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